Sapete che c’è?
È che corriamo tutti i santi giorni di questa
nostra vita. C’è che non riconosciamo più gli odori familiari, i sapori, le
cose belle che ci cullavano da piccoli.
C’è che la vita frenetica delle nostre anime precarie
ci scava dentro qualcosa che non riusciamo a colmare nemmeno con chili di
Nutella. Perché è un dolore che non conosciamo, che si annida sotto gli strati
della pelle, in mezzo alle ossa, sotto a quei muscoli che usiamo ogni giorno
per vivere.
Movimenti meccanici, ordinari, simultanei.
Uguali a tanti altri che facciamo ogni giorno.
Ogni singolo giorno, ogni singolo istante.
Intrappolati in girotondi grandi come le nostre
braccia, legate tutte insieme.
Rincorriamo emozioni forti, da film. Rincorriamo
salute, serenità, felicità, amore. Rincorriamo tutto perché siamo sempre di
corsa.
Sappiamo metterci al sicuro da un temporale ma
non da un cuore in fiamme. Non sappiamo sfuggire ad un’emozione forte, non
sappiamo metterci al sicuro davanti ad un odore conosciuto.
Ci si ferma il cuore per un istante, uno
soltanto quando nostro figlio apre la mano e l’appoggia alla nostra, senza un
perché apparante, senza una di quelle spiegazioni logiche e razionali che a noi
piacciono così tanto.
Cos’è che ci fa alzare ogni giorno quando la
sveglia suona?
Il lavoro che ci chiama? Il cane che deve fare
pipì? Nostro figlio da portare a scuola?
Alle volte nulla di tutto questo, alle volte
dobbiamo solo noi fare pipì, alle volte abbiamo solo voglia di un buon caffè.
Cos’è che ci fa arrabbiare tanto? Che il nostro
fidanzato o marito ci ha tenuto nascosto qualcosa? Che il capo abbia avuto
qualcosa da ridire in merito al lavoro fatto? Che nostra madre non capisca
perché le abbiamo chiesto di comprare il latte intero invece che quello
parzialmente scremato che ci ritroviamo sul tavolo? E che è inutile dirle che
nostro figlio quello non lo berrà mai?
Perché c’è la fame nel mondo?
Perché abbiamo l’influenza?
O perché solo vorremmo disperatamente usare la
scusa della febbre per nasconderci sotto le coperte?
Perché ci è venuto il ciclo, proprio oggi.
Perché vorremmo un lavoro.
Perché vorremmo avere i soldi per pagare le
bollette.
Perché vorremmo un gatto, come quello della
pubblicità dei croccantini, che abbiamo appena visto. Che si appoggi sulle
nostre ginocchia e faccia le fusa di sera. Ma solo in autunno e in inverno
perché d’estate poi sennò avremmo troppo caldo.
Ci possiamo arrabbiare per un’infinità di cose.
Possiamo ridere per un numero altrettanto grande
di cose, se non superiore.
La fame nel mondo, ahimè ho paura resterà. E
anche le malattie, sì quelle resteranno dall’influenza a quelle più brutte,
quelle gravi che ti si attaccano alla pelle o a quella di chi ami e ti logorano
dentro. Scavano confini sottili e distinti negli affetti. Confini e solchi che
certe volte, non vanno più via.
Siamo angosciati da quello che ci può succedere,
perché abbiamo paura di tutto. Ma più di tutto abbiamo paura della morte.
Perché quella lì proprio non si può nominare. Nella nostra società, la morte,
semplicemente non esiste. Un giorno succede che ti alzi e stai male e dopo un
po’ semplicemente succede che non ti alzi più. Vai in un altro posto, lontano a
farti un giro, ma nulla di che, solo che, non torni più.
Ecco.
Nemmeno un bambino la descriverebbe così, la
morte, ma molti di noi sì. La intendono così.
E dire che la morte, perché sì, è una parola che
si può dire, è l’unica cosa certa che accade nella vita.
E chi può dirlo se dopo c’è qualcosa, chi può
dirlo se riapriamo gli occhi in un'altra dimensione piena di cascate e
farfalle. Ma diamine, parliamone. La gente muore, ogni giorno. Anche se noi non
vogliamo.
Così, per non pensare alla morte, lavoriamo.
Tanto.
In ogni modo, maniera, luogo.
Lavoriamo.
E ci lamentiamo.
Ci lamentiamo se il lavoro ce l’abbiamo.
Ci lamentiamo se il lavoro non ce l’abbiamo.
Ci lamentiamo perché farlo ci dà quella stupida
sicurezza sulla vita. Come quando due signori anziani si guardano dritto negli
occhi, sul marciapiede sotto casa e iniziano dicendo:
«Certo che ieri, faceva proprio freddo…. C’era
un umido pazzesco!»
Come quando ‘si stava meglio quando si stava
peggio’.
Come quando ‘l’anno scorso non c’era tutta
questa crisi’.
Meglio la lira dell’euro.
Meglio la passata di pomodoro che i pomodori
pelati.
Meglio il minestrone Findus di quello che faceva
tua nonna.
Lavoriamo ma quasi sempre facciamo un lavoro che
non ci piace. Solo perché è ben pagato, o forse no perché è vicino casa, vicino
all’asilo così poi vado a prendere i bambini, vicino a mia madre così vado a
cena da lei, che ogni tanto vuole vedermi.
Lavoriamo e ringraziamo Dio che un lavoro ce
l’abbiamo. Ci inginocchiamo perché un lavoro ce l’abbiamo. Ci prostriamo perché
un lavoro ce l’abbiamo. Ci annulliamo perché un lavoro ce l’abbiamo. Scendiamo a
compromessi, ci facciamo pagare poco, ci facciamo fregare. Facciamo gli
straordinari, risolviamo problemi. Oppure no, scaldiamo la sedia, lasciamo che
i problemi si complichino e invadano l’ufficio, tanto ci sarà qualcuno che i
risolve per noi.
Pensiamo se prendere un caffè macchiato o una
cioccolata calda al distributore del caffè alla nostra pausa che inizierà
proprio… adesso.
Anche se, 50 centesimi per un caffè liofilizzato
è un prezzo decisamente troppo alto per noi.
Se il lavoro non ce l’abbiamo lo cerchiamo,
nella cloaca infinita di internet, in mezzo ad annunci finti come il Gatto e la
Volpe di Pinocchio. Ma noi disperati, ci proviamo lo stesso. Lavoriamo e non
veniamo pagati. Oppure addirittura derubati.
Cadiamo in depressione, ce la prendiamo con il
governo, con le tasse, le leggi, l’Iva.
È colpa della legge xy, dell’articolo 18, dei
contributi che non ho versato l’anno scorso.
La pensione che non vedrò mai, per fortuna che
ho messo via un po’ di soldi in un fondo sennò morivo in povertà.
Ma poi ci accorgiamo che in fondo ci basta stare
bene, con la nostra famiglia accanto.
Nostro marito, quell’uomo lì, che è perfetto solo per noi e non per il
resto delle donne nel mondo. Quell’uomo lì, che un giorno, non importa se tanti
anni fa o pochi, ha fatto qualcosa che nessuno prima aveva fatto per noi.
Quell’uomo lì, che ci ha conquistate rubandoci per sempre un pezzo di cuore.
Quell’uomo lì, che abbiamo scelto e che speriamo, vogliamo e desideriamo con
tutto il cuore, quello che ci è rimasto, che nessuno ci porti mai via.
Nessuna altra donna.
Nessuna proposta di lavoro oltre oceano.
Nessuna ragione che sia razionale o irrazionale.
Costruiamo una vita insieme, investiamo soldi,
speranze, sogni, desideri che si bilanciano (su quella bilancia immaginaria che
sta dietro alla nostra schiena, ma che noi non vediamo), con una buona dose di
dolori, rancori, nodi alla gola, lacrime e stupore e qui non inteso come una
cosa bella.
Ma quando poi lo trovi quell’uomo lì.
Quello giusto che hai scelto. Quello che ti ha
detto sposiamoci e facciamo una famiglia. Quello che ti guarda ancora con
quegli occhi colmi di quel qualcosa che tu vuoi decodificare come ‘amore
incondizionato’.
Quando lo trovi speri, inevitabilmente, che duri
per sempre.
In barba alle favole. Alle Cenerentole di turno,
Biancaneve e Belle con Bestie varie.
Quando lo trovi ti dimentichi anche di tutto
quello che avevi imparato con la Barbie da piccola.
Che deve essere bello, ricco e possibilmente con
un sorriso smagliante.
No, quando lo trovi non c’è pubblicità di
dentifricio che tenga.
Allora speri che non si innamori di un’altra.
Speri che sua madre non sia una iena. Speri che
vostro figlio non erediti il suo naso, perche sì, lo ami ma a tutto c’è un
limite.
Ma può succedere che l’amore svanisca per te.
Che qualcosa si sia rotto nel corso dei
mesi/anni. Che la persona che credi di avere a fianco non c’è più. Sia svanita
come la polvere magica della fata buona della Bella Addormentata. E che anche
tu, un po’ come lei, ti senta addormentata da troppo tempo.
Allora vuoi cambiare, uscire da una relazione
che senti scomoda, ma non sai come fare. Chiedi aiuto alle amiche che prima ti
ascoltano, poi ti giudicano.
Allora chiedi aiuto alla mamma che ti confessa
che quello lì, sì, il tuo uomo, lei non lo ha mai potuto soffrire.
Ti innamori di un altro o forse no.
Ricominci a vivere, uscire la sera. Party,
feste, adii al nubilato, cresime, comunioni, compleanni.
Tutto.
Tutto va bene.
Ma poi arrivi a casa e ti chiedi: ‘perché?’
Perché questa fatica.
Perché.
Chi me l’ha fatto fare, potevo tenermi l’uomo
che avevo, che in fondo tanto male non era.
Sì era un pelo tirchio ma a letto ci sapeva fare.
Sì era fissato con il biologico ma almeno io non
ingrassavo.
Un mare di perché.
Perché a noi donne in fondo piace porsi domande.
Siamo come Gwyneyth Paltrow in Sliding
doors. Che cosa sarebbe successo se…
Eh.
Bella domanda.
Troppo impegnate a ragionare sopra alle
decisioni da prendere, per prenderle davvero.
Se abbiamo un figlio di solito domande non ce le
facciamo. Non di questo tipo almeno, perché no. Non abbiamo tempo.
E non perché siamo troppo prese dal girotondo
della pappa-pannolino.
No.
Perché siamo troppo occupate a contemplare quel
piccolo esserino che cresce vicino a
noi. E chiederci, quello sì però, se davvero quella meraviglia l’abbiamo fatta
noi.
Ci congratuliamo con noi stesse e con i buoni
spermatozoi che abbiamo scelto dopo anni di selezione naturale.
Ci sediamo sul divano con lui in braccio e
possibilmente con il suo papà accanto, se c’è un cane o un gatto vicino poco
male, completa il quadro.
Ma questa no, non è l’immagine del Mulino
Bianco, no. Qui non c’è Banderas e Rosita che tengano. Non c’è malizia. Non c’è
spot pubblicitario che regga, che competa. Non ci sono nemmeno le 50
maledettissime sfumature di grigio che forse abbiamo letto o solo ci abbiamo
provato.
No.
Qui c’è la vita.
Quella vera.
Quella piena di amore, rancori, amicizia,
dolori, gioie, frustrazioni, risate, depressioni, sorrisi, baci, carezze,
malattie, cioccolata e caffè che volete metterci.
Le dosi le decidete voi, uomini o donne che
siate, poca fa la differenza.
L’importante è che alziate gli occhi da questa
pagina e che regaliate un sorriso alla prima persona che vi si pone davanti.
Proprio ora.
Provate, tanto è facile.
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