quando il 'non acquisto' non basta più

Ok, lo sappiamo tutti, o quanto meno gran parte di noi, che viviamo in un mondo governato dalle multinazionali del cibo, abbigliamento, eltronica ecc.
Ok, quasi tutti sanno che ci deve essere un'etica e un rispetto del lavoro, delle norme igenico-sanitarie, della persona in generale.
Ok, molti di voi sanno quanto è importante mangiare sano, vestirsi con materiali naturali, o quanto meno biologici, usare apparecchiature sicure, vivere in ambienti sani per il corpo, rispettare il nostro prossimo, non subire e possibilmente non ferire il nostro prossimo.

Ma pochi (purtroppo) sanno realmente quali sono le reali condizioni lavorative e sanitarie dei voratori che fabbricano i nostri vestiti, o il nostro cibo.

E' importante quindi denunciare le situazioni al limite, dove la vita viene sfuttata, spremuta, abusata.
Ecco perchè nonostante sia una che da H&M compra regolarmente, ho deciso di condividere sul mio blog, la denuncia di Anniken Jørgensen, giovanissima blogger norvegese che per il quotidiano Aftenposten ha realizzato un documentario denuncia (appunto) insieme a due suoi amici e collaboratori.
Ora, leggerete da soli l'articolo che prendo in prestito da 'Caffeina' e che potete trovare cliccando qui, perchè sono assolutamente convinta che la condivisione di tale notizia sia indispensabile, più gente sa meglio (ovviamente) è.

Non sono una novità gli orari massacranti che sono costretti a fare i lavoratori dei paesi sottosviluppati (chiamiamoli così), per garantire a noi la t-shirt low budget che fa tanto moda e non è una novità anche l'utilizzo di tessuti scarti o colorati con agenti chimici che possono dare reazioni allergiche alla pelle.

Ma forse sarà una novità scoprire che quando acquistiamo una maglietta che sull'etichetta riporta la dicitura 'made in vietnam/cina/cambogia ecc...' andiamo incontro alle stesse condizioni e allo stesso sfruttamento che denuncia Anniken nel suo video qua sotto, che si tratti di H&M oppure no.

Ce ne sono migliaia di brand low cost (e non attenzione!) sparsi per i nostri centri comemrciali, dove noi tutti acquistiamo regolarmente tutto quello che ci serve per vestirci, essere alla moda o semplicemente, perchè così ci va.

E' nostra scelta poi continuare a comprare o meno  prodotti realizzati con lo sfruttamento dei lavoratori, non è certo boicottando un brand su 300 che risolviamo il problema. Queste persone continueranno a non avere i soldi per mangiare, per mantenere i propri figli. Le donne incinte continueranno a fare orari massacranti e a compromettere la propria salute per cucire, a noi occidentali, le maglie.

L'unica cosa, a mio avviso che possiamo fare, è denunciare. Abbiamo internet, condividiamo denunciamo, scriviamo lettere di denuncia ai brand in questione, smuoviamo la situazione, facciamo qualcosa di attivo affinchè la condizione di queste persone, donne soprattutto, migliori.

Perchè un'etica del lavoro è possibile solo se tante persone denunciano, condividono, sostengono le cause.
Facciamo in modo che questi brand regolarizzino i loro lavoratori, affinchè noi consuatori possiamo comprare i loro capi d'abbiglaimento sapendo che chi li ha realizzati, è stato pagato il giusto.

E' importante, avete facebook, usatelo (una buona volta) per qualcosa che serva davvero.




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