We never gonna change




Che cosa ci fa dire che domani sarà migliore di oggi?
Che cosa ci fa sperare che le nostre vite cambino inversione di rotta all’improvviso in un favore migliore?
Che poi noi ce lo aspettiamo davvero, il cambiamento dico? Facciamo davvero qualcosa per migliorarci, evolvere, crescere, imparare, aggiornaci, studiare, vivere?
Facciamo davvero qualcosa per vivere?
In queste giornate in cui non si parla altro di Michele, il ragazzo che ha deciso di suicidarsi perché qui, ormai non si vive più, di Martina la ragazza assunta al nono mese di gravidanza, e di Sanremo.

Ma vi rendete conto?

Vi fermate un attimo a pensare a quello che ascoltate alla tv, ai bar, sui giornali, dalla parrucchiera, per strada.
Michele era friulano e trentenne come me. E quella benedetta lettera alla fine l’ho letta pure io, non volevo nemmeno farlo, avevo deciso che non l’avrei letta e invece poi l’ho fatto. E io sono arrabbiata quanto lui, perché so che significa convivere con un dolore che nessuno capisce, so quanto sia schifosamente pesante vivere così. E’ come avere un masso enorme sempre appoggiato sul petto, fai fatica perfino a respirare figurati a vivere.
Vivere per cosa poi? Per un lavoro che non c’è, per un futuro che si sgretola ora dopo ora, per una fidanzata che è diventata ex e non ti vuole più.
E allora si inizia a sentirsi soli, così fottutamente soli che poi arrivi al punto di non ritorno e allora non te ne frega più un cazzo di niente, tanto vale cambiare universo.
Allora mi chiedo, se qualcuno l’avesse aiutato di più, se invece di mollare fosse restato. E non sto incolpando la fidanzata, per l’amor di Dio sono donna pure io, e con il tempo ho imparato a non giudicare mai nessuno, soprattutto se non ne sai un bel niente di niente.
Ma so che significa affrontare tutto da soli, sentire il vuoto intorno, assaporare l’incomprensione e i gesti vuoti che mettono a tacere solo le proprie coscienze, ma che non sono utili a chi li riceve. E so che quando dai tanto alla fine quello che ricevi è pressoché nullo. 
E poi c’è Martina, osannata dai social network perché la sua storia fa sperare tutte le donne che non fanno più figli perché hanno paura di rimanere senza lavoro, perché ripetiamo, in quest’Italia non c’è futuro. Tarantino nel suo film diceva che ‘Non è un paese per vecchi’ non l’Italia eh, sia chiaro, ma prendendo in prestito il suo titolo, io dico che questa Italia non è un paese, punto.
Perché poi vai a sentire l’altra campana e scopri che decine di altri dipendenti sono stati licenziati e non pagati dalla stessa azienda perché così comodava, e che forse questa cosa del pancione e dell’amore e della speranza è solo un’operazione di marketing perché si sa, adesso tira tanto farsi vedere buoni su internet. Bastano una foto ben fatta, quattro parole e poi il popolo di facebook fa il resto, scatena l’onda mediatica e tu ti ritrovi sui quotidiani e sui Tg nazionali. E non sai neanche perché cazzo sei diventato la nuova notizia.
La realtà è che oggi si vive male, che la verità non è mai da una parte sola, che non è mai tutto bianco o nero, che non c’è speranza a meno che tu non te la vai a prendere con violenza, come in quei melodrammi degli anni cinquanta, in cui il protagonista scalava mari e monti per riprendersi la donna della sua vita, o in quei film di guerra, per sopravvivere.
Ci divertiamo a trovare una scusa per far parlare di noi, per diventare popolari perché ci annoiamo davanti ai nostri smartphone di ultima generazioni. I gattini e i video demenziali non riempiono più i nostri lunghissimi spazi di dissociazione dalla società. Dobbiamo diventare protagonisti, anche se solo per quei 5 minuti di cui parlava già Andy Wharol svariate decine di anni fa.

Perché va così.

Perché la società fa un po’ schifo ammettiamolo, e perché alla fine chi si ferma a pensare un attimo sa di cosa sto parlando.
C’è che vivere è diventato difficile, ma tanto.
Non c’è niente di stabile, in questa vita, e se da un lato questa affermazione potrebbe essere positiva, spingendoci ad innovarci sempre come persone, dall’altra fa venire le crisi d’ansia che lo Xanax non basta nemmeno più.
Se ci pensate, è ‘colpa’ del nostro modello di vita occidentale. Per sentirci realizzati abbiamo bisogno di:
salute ( non accusare patologie gravi o che portino danni o invalidità permanenti, non sto parlando della comune influenza di stagione. Non aver bisogno di prendere medicine per tutta la vita, per curare disturbi fisici o psichici che invalidano la qualità delle nostre giornate)
un lavoro (possibilmente fisso, con orari che non ci ammazzino, pagato bene, con ferie pagate, contributi, tredicesima, quattordicesima, infortunio, malattia, vicino a casa, con ambiente favorevole senza possibilità di mobbing o stress ad alti livelli, con colleghi simpatici, carini alla mano, che non te la mettano in quel posto alla prima occasione)
soldi (possibilmente tanti per comprare quello che ci serve e poi quello che vogliamo. Tanti da averne messi da parte per quando ci servono, per non farci mancare mai niente, ma fondamentalmente da usare noi, non certo per fare beneficenza, a chi poi che i poveri si sa, non esistono…)
amore ( un partner bello e di successo, che si adori come nessuno, che provveda a noi, che ci riempia di attenzioni, che ci ascolti, che ci conforti, che non ci tradisca mai, né nella fiducia né a letto, che ci porti rispetto, che faccia quello che vogliamo noi, con cui non litigare mai, bravo a letto con cui soddisfare ogni bisogno sessuale. Che non ci faccia soffrire)
cibo (di qualsiasi genere e tipo, non solo per l’essenziale sopravvivenza dei nostri corpi, ma anche come sinonimo di abbondanza, di prestigio, di confort. E qui aggiungo anche l’alcool, sempre per gli stessi motivi.)
Poi ci starebbero tutti i vizi superflui in cui potete metterci quello che volete, perché soddisfatti i bisogni primari poi di natura l’uomo vuole anche divertirsi un po’.
Bene, credo ci sia tutto, sennò siete liberi di aggiungere quello che vi pare, non è una lista insindacabile e io non sono certo una psicologa o un’esperta in qualche materia per la quale posso imporre la mia conoscenza.
Tornando a noi. Ora ditemi quanti di voi possono dire di possedere nella loro vita una o più opzioni (di cui sopra) che rispecchiano esattamente tutti i sottotipi elencati.
Se ci riuscite, allora appartenete a  quei pochi che possono definirsi mediamente felici. E non venite a dire a me, che non rientro in nessuna categoria, che non lo siete.
Io lavoro nella comunicazione, con la gente parlo, e so che la maggior parte della popolazione tra i 20 e i 60 anni non vive bene. 

Siamo sulla soglia della povertà, siamo precari, instabili, siamo fragili.

Questa è la dura realtà. Viviamo vite vuote. facciamo lavori che non ci piacciono, sottoponendo i nostri corpi e la nostra salute a stress e sacrifici troppe volte più grandi delle nostre possibilità per guadagnare dei soldi che non ci serviranno per stare bene ma per pagare il mutuo di casa, le bollette, le rate della macchina, le spese, le tasse i debiti. E con quello che rimane poi forse facciamo la spesa e ci compriamo un maglione. Sempre se ci rimane qualcosa.
Siamo così stanchi e stufi che quando torniamo a casa se abbiamo una famiglia che ci aspetta, non ci accorgiamo che nostra moglie/marito è distante ed è chiuso nei suoi problemi di cui non ci parla, perché la comunicazione di coppia ormai non c’è più, e che i nostri figli… beh non sappiamo nemmeno se hanno dei problemi o meno. D’altronde se sono vittime di bullismo, se passano tutte le ore davanti allo schermo del telefono che gli abbiamo regalato a Natale, se sono anoressici o bulimici o se prendono delle droghe per sballarsi un po’ non è che siano problemi cosi gravi, giusto? Tanto quando cresceranno e diventeranno adulti, conosceranno i veri problemi della vita.
E no. Perché cari genitori, questi sono disagi importanti, e dovreste fare più attenzione a come si comportano a casa, e non illudetevi che questi problemi siano solo alla tv, e che a casa vostra non possano accadere.

Se invece una famiglia non ce l’abbiamo, magari abbiamo un fidanzato/a. che non ci dà le giuste attenzioni, che non c’è mai, che di nascosto scrive ad altre/i su Tinder, Messenger o che so io. Un compagno che ci tradisce, che ci tratta male, che non ci rispetta, che non ci ama. E magari noi non ce ne accorgiamo nemmeno, o facciamo finta (di non accorgercene). Ci stiamo assieme perché ci fa paura stare da sole/i, per aggrapparci a quell’idea di amore che leggiamo sui libri e vediamo nei film. Quell’incanto (dorato?) che nella vita reale non esiste a meno che non ce lo creiamo mentalmente, finendo per illuderci, in tutte le migliori ipotesi.
Oppure avete sperimentato quanto sopra e ne siete talmente nauseati che siete single. Perché la maggior parte dei trentenni (ho scoperto) appartiene proprio a questa categoria.
Siete single perché non credete più nell’amore oppure perché vi piace divertirvi. In ogni caso, è probabile siate sulla giostra degli appuntamenti moderni. Serate spese sui tavoli dei bar più improbabili davanti a perfetti sconosciuti a raccontarsi la storia della propria vita, ancora e ancora per ‘x’ volte sempre davanti a birre diverse quanto le facce dei vostri dating.
Perché siamo troppo impegnati nei nostri lavori che non ci piacciono e ci succhiano le giornate, usiamo le app per incontrare persone che non conosciamo per nulla, a cui iniziamo a scrivere messaggi vuoti e sempre tutti uguali. Per trovare la persona ‘giusta’ ci affidiamo ad algoritmi matematici che scelgono per noi in base alle nostre preferenze. Alto così, con gli zigomi pronunciati, che abbia un buon lavoro che faccia snowboard d’inverno a cui piaccia anche il mare d’estate. Non troppo festaiolo, e che non abbia più di 35-37 anni (mi riferisco sempre alla generazione dei trentenni a cui appartengo) senza figli che non fumi e che beva con moderazione.
Ci usciamo un numero di volte, passando in mezzo a quegli ostacoli moderni e freddi come il marmo. Gli sarò piaciuta/o? Ci rivedremo? Magari finiamo a letto, ma se non mi richiama? E se vuole solo quello? E se poi mi innamoro e mi tradisce?
Ecc..
Avete presente? Non continuo, sono sicura che so di cosa stiamo parlando…
Così rimaniamo single per un tot di tempo finché non rientriamo in un’altra categoria di cui sopra, (perché ci è andata bene e l’algoritmo questa volta ci ha preso).
Ma io mi chiedo. I rapporti veri, le persone su cui poter contare, gli affetti, gli abbracci (quelli veri) l’affettività e le cose belle, dove sono finite? Esistono ancora o ce ne illudiamo soltanto solo per metterle su facebook e far vedere agli altri una felicità che in fondo non esiste?

Ci credete davvero?

Ho già parlato di solitudine e di precarietà, non sto qui a ripetermi, ma a me sembra tanto che mentre c’è il disgelo delle calotte polari, il ghiaccio si sia impossessato dei nostri cuori. E non fa differenza se ci chiudiamo al mondo per le troppe delusioni ricevute o solo perché diciamo a noi stessi che in fondo non è cosa che ci interessa perché credetemi, l’indifferenza è una brutta cosa.

Se ci tenete a qualcuno, fateglielo sapere, sempre.

Che sia un genitore, una zia, una nonna, un fratello un amico, un amante, vostra moglie, i vostri figli, vostro marito, il fidanzato o qualcuno che è da poco entrato nelle vostre vite a cui non riuscite a smettere di pensare.
Parlategli, scrivetegli e Dio santo abbracciatelo.
Perché è dannatamente importante.
Non permettete a nessuno, di sentirsi solo. Perché di Michele è pieno il mondo, e sono anche nelle vostre vite.
Aiutate gli altri e siate gentili anche con chi non conoscete, perché molto spesso, anche un solo sorriso è il regalo più grande che possiate fare a qualcuno.


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