Crisi

Lavoro, lavoro, lavoro.
Beata ossessione dei neo laureati che non hanno idea di cosa sia.
Lavoro, lavoro, lavoro perché il dottorato non lo faccio, l’università mi ha rotto, sono stufa e poi figurati se quel posto di ricercatore lo danno a me.
Lavoro, lavoro, lavoro perché invidio quelli della generazione 'mille euro al mese'.
Speriamo di rientrare nella rosa dei fortunati che chissà come fanno carriera, e quindi ci chiediamo, perché io no? Che diavolo hanno loro che io non ho? Molto probabilmente nulla.
Sono arrivata alla considerazione che il diventare qualcuno e vantarsi della propria apparente felicità, perché si è raggiunta una posizione onorevole all’interno di un’azienda x, non è altro che un mix di fortuna, sfacciataggine e caso.
Sì, sono arrivata alla considerazione che il mondo sia retto dal caso. Chissà perché un giorno ti svegli e ti ritrovi dietro ad una scrivania senza sapere il perché. Dopo aver abbandonato ingegneria, perché sentivi che in fondo quella non era la tua vocazione, ti ritrovi a vendere polizze assicurative a ignari clienti che credono che tu sia una persona per bene.
Oppure c’è il tuo collega, laggiù infondo, quello che è arrivato da poco, che però lui l’università l’ha finita. 110 e lode ma vende polizze come te.
Il mondo è bello perché è vario.
Poi ci sono io che invece rifiuto un lavoro, che poi non sarebbe stato mica così male, in nome del sacro fuoco della passione. La passione per lo studio. Ho scelto di non omologarmi e di non mettermi una maschera in nome dell’antropologia.
E poi, sono sicura, che il 90% di quelli che leggeranno questo mio post non sanno nemmeno cosa sia… l’antropologia.
Oddio, sempre se qualcuno il mio blog lo legge. Diciamo che preferisco rimanere nel dubbio, invece di scoprire che infondo scrivo solo per me.
Che in fondo esorcizzo solo le mie paure, che preferisco parlare con me stessa, vedermi riflessa sopra uno schermo piuttosto che parlare con qualcuno. Sarà un effetto collaterale del progresso, del web. Di quello che volete voi.
Credo ancora in me stessa, almeno credo. Ah, non si dovrebbe mai vacillare… Dicono. Credo ancora che diventerò una scrittrice e conoscerò persone fighissime.
Sì ci credo ancora.
Credo ancora che questo sia solo un momento di passaggio, una transizione verso il nuovo. Che non ha colore nè forma, può essere identificato solo come ‘il nuovo’.
Se ci fate caso, qualcosa che non conosciamo, non può essere identificato, proprio per il fatto che è estraneo alla nostra mente. Quindi non può essere immaginato. Assurdo, vero?
Anche perché, non so a voi, ma tutto quello che immagino io, poi nella realtà non accade mai.
Anni spesi a studiare, ad imparare a parlare, a comportarsi, a pensare al futuro. Ma quale futuro?
Perché a scuola non ti insegnano la felicità?
Perché a scuola non ti spiegano che cosa sia l’autostima? Perché non ci insegnano a riprenderci da un giudizio che ti viene incollato addosso? Come non si fa a dargli peso, se ti viene detto che non vali nulla e che sei banale e scontata? Che mentre scrivi non fai vivere i tuoi personaggi, che tu con una penna in mano combini poco, che forse dovresti posarla e andare a fare qualche altro lavoro?
Perché non ti insegnano che forse la gente parla, parla e parla perché ha una lingua in bocca e basta?
Perché? Perché?
Perché devi capirlo tu da sola, dopo notti passate a piangere e a sentirti una merda perché scopri che l’unica cosa che credevi di saper fare in realtà non è roba per te?
Perché ci si deve fare le ossa così? Non sarebbe più facile se le cose ce le dicessero? Non sarebbe più facile se ci dicessero che la gente critica perché deve fare qualcosa nella vita, perché è divertente annientare l’autostima altrui e non pensare alla propria. Perché nessuno ci dice che l’unica persona a cui dobbiamo credere siamo solo noi? Che la nostra sensazione di pancia è più saggia di qualsiasi altro essere umano. Perché dobbiamo credere in quello che per noi è importante anche se tutti ci criticano e ci fanno sentire così in basso da essere certi di non essere in grado di risalire mai.
Perché funziona così, domani saremo meglio di oggi. E dopodomani magari saremo qualcuno, in questo mondo, o magari chissà in una’altra vita. Dipende dai nostri obbiettivi, da quello che vogliamo, desideriamo, pretendiamo.
Qualcosa si realizzerà se noi ci crediamo davvero. Io continuo a crederci, almeno fino alla prossima delusione, che in tutta sincerità credo essere dietro l’angolo.
Dai, un bel respiro, sono pronta! Prendiamola di petto, incassare il colpo e ricominciare. In fondo uno importante ha detto che non può piovere per sempre. Ve lo ricordate?
Bè lui adesso poveretto è morto, anche se era solo un film, ma io, che non può piovere da vero, ci voglio crederci davvero.
...
È una metafora, no? Avevate capito, giusto?

Isabella Aragonese in Tutta la vita davanti

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