Avete mai l’impressione d’aver dedicato troppo tempo ad una persona? Avete mai l’idea tangibile che i vostri pensieri, intensi e materici, siano sprecati? Che si dissolvano nell’aria come vapore leggero?

Che le vostre più profonde convinzioni si dissolvano e svaniscano appena apriate bocca per dirle?

Che uno sguardo veloce e distratto possa tagliarvi le carni peggio che un coltello affilato?

Alle volte mi chiedo perché sia così difficile instaurare un rapporto umano, perché la comunicazione debba sempre trovare ostacoli insormontabili partoriti da un’ignoranza latente, omofobia, preconcetti, pregiudizi, false credenze oppure solo maleducazione.

Perché sia così difficile non sembrare pazza agli occhi della società comune e abbietta.
Forse, se abitassi in un paese meno chiuso, che del dialogo facesse vessillo, magari mi sentirei meno aliena.

Dicono che ci scegliamo, che sia a causa di un odore, di uno sguardo, di un alito di vita, un sapore di pelle. Che sia per qualsiasi cosa, ma la nostra attenzione si posa su di un individuo invece che un altro. Qualcosa ci attira, ci seduce, ci sconvolge la struttura chimica, il sangue si fa fluido e caldo, la pelle pulsa e i nostri sensi si affinano, tutto in una manciata di secondi.
Reazioni involontarie ma visibili e percepibili a quelli che sviluppano le percezioni visive e sensoriali.
Accade. Non lo possiamo prevedere, forse controllare, reprimere, ingoiare. Ma non programmare.
Credo sia stupendo quando accade. Credo sia un dono.
Ma troppi doni in questo mondo vengono sprecati, non vengono capiti, accolti, condivisi.

Ti avrei dato tutto senza chiederti nulla.

Avrei vissuto dell’eccitazione dell’inizio, quando ancora tutto vive nelle nostre menti e nulla, nulla c’è ancora nella vita vera. Quella reale che tocchiamo, che mangiamo e respiriamo ogni giorno.
Immaginare una gioia, qualcosa che ci riempia dentro, quando nulla ci appartiene ancora, e che forse non ci apparterrà mai.

Ma questa è una vita che non perdona, che non ha tempo per la fantasia, per il sogno disincantato. Questa vita arida ci tocca la pelle con le sue mani fredde. Non c’è perfezione, non c’è tempo sospeso.
Il più delle volte ci fa solo male il cuore perché l’ingratitudine e la cattiveria delle persone, è capace di superare di molto la nostra immaginazione. La nostra vita perfetta che vive nella nostra testa, dove le giornate trascorrono serene, dove tutti dicono le cose giuste, dove nessuno ci fa del male.
Quando le nostre aspettative crescono, quando dagli altri ci aspettiamo comprensione, amorevolezza,
felicità, accade l’esatto contrario. Veniamo feriti, derubati, deturpati nell’anima, nel nostro io profondo. Lacerazioni che non si rimargineranno mai. Piccoli traumi, smagliature, buchi neri.
Accade più spesso di quanto ci immaginiamo.

Esordi infelici che minano la nostra sicurezza, la nostra autostima, il nostro voler essere espansivi ed accoglienti verso il mondo.
Ci feriamo continuamente, diventando fragili e chiudendoci sempre di più. Parliamo di meno, guardiamo di meno, speriamo di meno.
La trasparenza dei nostri sguardi si vela, un vetro che protegge ma non fa vedere cosa c’è al di là di noi. Arriviamo fino al nostro naso, diventiamo ciechi e distratti. Poco interessati, tutto diventa potenzialmente dannoso.
Il nostro guscio emotivo diventa l’unica cosa sicura in cui stare. In cui non aver paura d’essere colpiti dai gesti o dalla lingua di qualcuno.
Siamo involucri vuoti che camminano. Siamo distanti mille luci anche se chiusi dentro un bar a bere un caffè. Non comunichiamo più, perché non ne sappiamo trovare il piacere. Non ascoltiamo chi abbiamo davanti, non lo aspettiamo, non abbiamo quella pazienza necessaria che i rapporti umani richiedono.
Amicizia, amore, lavoro, collaborazioni di varia natura.

Perché non ne siamo più capaci?

Perché è più facile essere sgarbati, tagliare corto con chi invece cerca di tenderci una mano, chi cerca di aiutarci, chi dimostra disponibilità verso le nostre anime?
Quando siamo diventati così cattivi?
Io ho preso la decisione di non voler essere più ferita. Non voglio più rischiare di rimanere in apnea, non voglio più che delle parole pronunciate o dei gesti fatti mi rechino dolore.
Non voglio sentire più dolore in mezzo al petto. Quella sorta di fitta che ti mozza il fiato e ti fa pensare d’essere una stupida per aver pensato che ‘sì, avrebbe potuto funzionare’.

Perché alle volte, anche con le migliori intenzioni, anche venendo in pace, si rischia d’essere colpiti a morte alle nostre spalle, proprio lì, dove ancora non avevamo guardato.



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