L’Italia dell’autogestione


Non ho mai seguito la politica. Ho sempre pensato che in fondo, fosse una perdita di tempo perché per quanto riempissi le parole di fervore non sarebbero mai servite a nulla. Mai servite concretamente a cambiare le cose. Funzionali per nessuno insomma, perché infondo non sarei mai stata io a decidere, a ‘governare’ o quanto meno ad aiutare qualcuno a farlo.
Quindi ho lasciato stare dopo brevi e fugaci tocchi, ho solo intinto la punta dei piedi in questo mare che di pulito non ha nulla, per poi ritirarmene subito, come quando ci si immerge in acque ancora troppo fredde.

Quello che sta succedendo oggi in questa nostra Italia mi fa star male, mi fa venire l’orticaria. Sento il cuore pesante e vorrei urlare.
Vorrei prendere a schiaffi tutti, oh che bella sensazione sarebbe. Uno sfogo dal profondo delle viscere, avrei le mani doloranti, ma che soddisfazione.
Qualcuno dovrebbe dire a questi invertebrati senza cervello che non sono più dei ragazzini, e che non ci si litiga un pacco di caramelle. Qualcuno dovrebbe dire loro di usare il cervello, se ne hanno uno, per mettersi seriamente a pensare al bene dell’Italia, di noi tutti. Poveri cittadini che devono sempre e comunque pagare.
Invece no, fanno i capricci come se la mamma non li lasciasse andare fuori a giocare. Da Grillo, passando per Bersani fino ad arrivare a Berlusconi.
Ma d’altronde a chi frega nulla dell’Italia? Non l’avete ancora capito, cari miei ‘elettori’?
Spero che gli ultimi scettici ora se ne rendano conto. Siamo stati declassati, siamo la Nazione del ‘non governo’, senza Papa (che qualcuno reputa essere più un bene che un male) tra poco senza Presidente della Repubblica. Siamo ingovernabili, ingestibili.

Una massa informe di non si sa cosa, che se ne sta sospesa in attesa di non si sa cosa.

Credo che poche volte nella storia si sia verificata cosa simile.
Qualcuno di voi quando era a scuola ha mai vissuto un’autogestione?
Ecco, è la stessa cosa. Caos pazzesco, anarchia pura. Questa è l’Italia adesso. Una Repubblica fondata sul lavoro, che non ha una repubblica e che non ha nemmeno il lavoro.
Della serie: quando si predica bene  ma si razzola male.
Siamo in declino, in fallimento, ci inabisseremo come la Grecia, come la Concordia.
Se così vi sta bene, meglio per voi.

Perché l’Italia è una di quelle popolazioni che non si muove nemmeno se gli spari addosso, qualunquisti di nascita, crediamo al primo fesso che ci dice (a parole) che la rivoluzione va fatta, ma che (a fatti) si nasconde dietro una tuta integrale dal dubbio gusto.
Una popolazione che adagiata sulle sue linee di pensiero, va dietro a gente che parla in modo mellifluo, scandendo pause lunghissime, usando termini che nemmeno la Treccani riconosce più, vedi ‘prosopopea’. Ho fastidi io a scriverlo, figuriamoci.
Una popolazione che crede all’impensabile. Che nel mezzo di una crisi nera, un’aridità che fa spavento, gli viene promesso, benessere, fioritura, restituzioni di soldi, e magari anche un cesto enogastronomico per Pasqua. Ah, quello no? Credevo di sì…
Una popolazione che vota il ‘meno peggio’ perché tanto…
Ma tanto cosa?

Sì, ne ho per tutti perché mi sono davvero stufata. Stufata di questa Nazione inutile, di queste logiche di pensiero, di questo volersi adagiare e aggrapparsi a stronzate. A questa nostra predisposizione genetica di non guardare oltre il nostro naso.
E voi mi direte, «allora prendi la valigia, vattene e non rompere il cazzo!»
E no cari miei, io invece rimango qui e le scatole le rompo eccome. Anche se solo da questo mio blog, poco frequentato e ‘dislocato’, perché se me ne andassi o se me ne stessi solo zitta mi uniformerei alla media. Alla media di questa popolazione che nemmeno più in osteria si lamenta, per non sembrare maleducata. Alla media di questa popolazione che accetta tutto perché non si può fare nulla per cambiare le cose.
E no, io la voce la alzo. 
Almeno rimarrò ancora una delle poche che qualcosa da dire ce l’ha.





 

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